Nota biografica

riva

Giorgio Antonio Riva nasce a Milano nel 1933.

Nel ’59 si laurea in architettura al Politecnico di Milano, dove diventa assistente di Ernesto N. Rogers.
Sin da giovane professionista sceglie di essere, contemporaneamente, progettista, pittore e scultore.

Negli anni ’50 e ’60 opera secondo i canoni che promuovevano un’idea sociale dell’architettura. E’ interessato in ogni fase del processo ideativo a dar ascolto alle esigenze dell’abitare umano ma non condizionato dalle limitazioni e ingessature ideologiche del suo tempo.

Gli studi preparatori all’edificazione di scuole per i Comuni di Pogliano Milanese, Vanzago e Viggiù saranno un banco di prova importante per la sua formazione.

“Quando un architetto è chiamato a progettare interventi pubblici per una comunità e i suoi contatti sono mediati da sindaci e assessori la distinzione fra committente e destinatario è fondamentale. E, non di rado, la domanda che si pone il progettista - per chi stiamo progettando? – va rivolta anche agli amministratori per sollecitare le loro conoscenze sulle condizioni di vita, vedute e necessità dei loro amministrati. Quando poi le comunità per le quali si progetta sono interessate da ingenti flussi migratori è importante anche conoscere le differenti concezioni dell’abitare che si intrecciano sul territorio per farle entrare in dialogo. Dato il contesto, uno stesso edificio potrà essere interpretato in modi molto diversi. Lavorando su questa strada mi sono trovato a scoprire, apprendere, praticare linguaggi che definirei proprio linguaggi dell’abitare... I loro significati sono nella mente degli abitanti come diffidenza o adesione…”.

Seguono anni dedicati a studi interdisciplinari e a intense esplorazioni nella pittura e nella scultura che sfoceranno nei Foglio-plasma, bassorilievi a colori in carta resinata, tecnica originale in cui il nuovo fattore determinante è l’inclinazione della luce sul dipinto. Racconta Riva: “La svolta arriva negli anni Settanta, nel momento della crisi del moderno, allora cominciai a elaborare le mie opere, lavorando la carta bianca di colonia. La immergevo nell’acqua, la maceravo, intervenendo con le mani. Cominciavo a intravedere delle sagome, le inseguivo accentuandole, contrapponendole, giocando con la simmetria, cercavo i fantasmi nelle venature”.

Dallo stesso alveo disciplinare ma anche da studi di storia nascono i suoi saggi più significativi: La trama e il suo dominio, Muri al servizio del rito, Mappa dell’emarginazione, Polisemantica dello spazio abitato, pubblicati fra il ’69 e l’83 su riviste e libri e confluito nel documentario Rai Microcosmi di frontiera sostenuto da CNR e Regione Lombardia. La sua esperienza – professionale e umana - è sostenuta da ricerche filosofiche e antropologiche sconfinata nella psicanalisi e linguistica.

“Antropologia e architettura viaggiavano per me di pari passo, nella convinzione che i linguaggi dell’abitare fossero fondati su una “trama spaziale” (sostanzialmente fatta di canali di comunicazione e di setti di separazione, ma anche di vicinanze e di lontananze) e su una “rete
sociale” fatta di modalità, spesso rituali, di fruizione. Da qui traevo linfa per i miei progetti di architetto e di urbanista. Fin dagli esordi, il segno/sogno di Riva è di delineare un tracciato coerente per provare a cogliere un codice di percorso assunto a modello concettuale. “Io le cose le so con le mani ma è il mio occhio che proietta il fantasma su cui opero”.
La sua è una avventura intellettiva solitaria che nel periodo di sintesi della maturità accoglie il necessario spirito della narrazione per incontrare lo sguardo vergine di chi attraverso le sue traiettorie”.

Nel 1983 esce la plaquette Il significante poliverso a cura di Marisa Dalai Emiliani per le edizioni Scheiwiller, testo-laboratorio ermetico, cronaca di un work in progress del fare artistico dettato dal pensiero visivo. E’ una prima rassegna critica delle sue creature a lui più care, i foglio-plasma, forma di pittura-scultura che coltiva a lungo e di cui soffrirà la nostalgia.

Nel 1988, in polemica con le teorie linguistiche di Roland Barthes, pubblica il romanzo-saggio Chiamami Oriente nel quale immagina una preistorica sanguinosa lotta fra la futura civiltà dei parlanti e quella che ha rifiutato la parola codificata. E’ un viaggio al di fuori della storia, dove si sogna che la memoria possa essere recuperata solo con un atto di fantasia.

L’artista continua negli anni a dedicarsi alla speculazione del confine fra immagine e parola. Per le stesse ragioni si interessa anche al linguaggio del computer: nella mostra personale alla Permanente di Milano del ’96 dedica un’intera sezione alla pittura informatica.
Le sue Info-grafie sono stampe numerate che Riva trae da matrici digitali, presentate per la prima volta nel 1998 in mostre presso l’Ambasciata italiana di Madrid e la Universidad das Bellas Artes di Siviglia.

La ricerca prosegue con il Cd Dedicato a Piero Della Francesca composto per incarico del Museo Poldi Pezzoli e presentato alla Sala Teresiana di Brera nel’99, che è una proposta di ricostruzione architettonica e cromatica del Polittico che lo impone all’attenzione di critici e storici.

Tra il 2000 e il 2002 produce i Cd Info-plasma, Sei lezioni politecniche, Al di là dell’opposizione binaria, in cui presenta dieci file metamorfici e una selezione delle sue lezioni al Politecnico di Milano.

Nel frattempo l’indagine su un metacodice comune alle diverse arti prende corpo nella mostra del 2005 Confini? che ambienta a Sirtori nel giardino della sua Casa-Museo da lui stesso progettata nel ’69. Qui, con una retrospettiva di Foglio-plasma e di Xilo-plasma compaiono per la prima volta le Luminose, sculture dai lucori sfumati ed opalescenti che di notte emergono dai boschi per entrare in dialogo diretto con l’orizzonte più prossimo e con le luci lontane del fondovalle. Pittura, scultura, design, architettura, arte della luce e arte del paesaggio riunite sotto un unico cielo, rappresentano insieme un bilancio verso future esposizioni di sintesi che da allora si susseguiranno regolarmente come Scolpire la luce del 2012 e La connessione misteriosa del 2013.

Negli stessi anni lavora con il maestro Francesco Rampichini a un’opera in cui i segni pittorici in movimento si connettono a segni musicali. Ne nasce A quattro mani, opera video-acustica in dieci quadri pubblicata nel 2009 con Maggioli Editore.
Dal 2010 ad oggi l’attività creativa di Giorgio Antonio Riva si concentra nella sua Casa-Museo di Sirtori – nel Parco di Montevecchia, in provincia di Lecco - che decide di aprire al pubblico con la consapevolezza di aver concepito un opificio dedicato alla ricerca e agli intrecci delle arti.

Scrive nel 2016: “Questa è la mia casa delle Muse, nota come I 3 Tetti per via delle piramidi di ardesia che la coprono. Fin dall’inizio ho condiviso l’avventura di questo luogo con i miei amici architetti, musicisti, critici e storici dell’arte, linguisti e letterati soprattutto quelli che nutrivano il desiderio di combinare tra loro le arti”.

La residenza offre ai visitatori un percorso nello spazio interno di lavoro dello scultore con il suo atelier e attrezzi del mestiere. Oltre la soglia la dimora si fa racconto-biografia del padrone di casa il cui sguardo sensibilissimo ha lasciato traccia di un patrimonio di cultura e saperi antichi. Il complesso di ‘sculture luminose’ che negli anni l’architetto ha installato sui terrazzi, nel giardino e nei boschi è così intimamente legato alla natura circostante, alle quinte architettoniche e agli scorci che si aprono sul panorama, da risultare in sé un'opera dentro la quale si modula il passo sul ritmo di autentiche emozioni estetiche.

Le componenti materiche di questa 'creazione-ambiente' presentano un'ulteriore evoluzione del linguaggio polisemico che già caratterizzava l'arte dell'autore: vista e udito, spazio e tempo, luci e buio notturno si intrecciano in una sintonia globale coi suoni musicali che nascono negli spazi aperti e muovendosi tra le sculture entrano in contrappunto con le immagini.

La pratica dello “scolpire con la luce” si traduce in un museo a cielo aperto che si presenta come un vero e proprio paesaggio culturale dentro il quale si cammina e ci si perde assorbiti dall’aspetto dinamico delle forme in una sorta di pienezza sensoriale. Architettura, arte della luce, scultura, pittura, design si mescolano senza confini abbracciando echi di poesia e musicalità fino alla spazializzazione dei suoni, in un unicum polisemico, dove il vero protagonista è il metalinguaggio che le unisce.

Nell’ultima stagione di ricerca la visione interiore prende il sopravvento sullo sguardo e ogni prova è occasione di coraggiosa escursione fuori della propria disciplina.

Dal 2017 ad oggi si occupa di far conoscere la sua Casa-Museo a nuovi visitatori, a istituzioni culturali affini e a studiosi di settore.

Nel 2020 ha pubblicato con Editore Skira “Nell’antro di Efesto a fonder linguaggi” un saggio-manifesto del suo lungo percorso artistico con una documentazione ampia e articolata delle sue opere e del suo progetto di museo.